mercoledì 14 gennaio 2009

La serie "moving".


Volevo dare un indirizzo a questa mia fotografia, ci sono state persone che in precedenza hanno già sperimentato quasi tutto, cito Paolo Gioli, Dominique Stroobant, ed altri, io ho scelto di usare questi apparecchi al posto delle macchine fotografiche. Ho provato a fotografare il movimento,ad esempio viaggiando in automobile ho realizzato delle immagini, sulle autostrade italiane inevitabilmente vuol dire che ho fotografato i camion...

martedì 13 gennaio 2009

Dove finisce la tecnica?... quando inizia la creatività?...

Questa è una "scatola fotografica" pinhole, realizzata con i mattoncini della Lego (non vi dico la fatica per preservarla dagli attacchi dei figli!...), corredata da un meccanismo di "otturazione" fatto da me, in plastica e cartone, ed incollato sulla scatola stessa, il tutto 'nastrato' per prevenire aperture accidentali, magari in automobile con gli 'scassoni' e le vibrazioni... All'interno pellicola a colori, rullo 120 come sempre.



Che immagini realizza?
Come tutte le mie scatole non ha un obiettivo, ma solo un piccolo forellino su una sottile lamina metallica, che funge da diaframma fisso. Dato che non può essere molto grande (= diaframma "aperto") pena l'incapacità di rendere un'immagine accettabile (dal punto di vista della definizione, della resa dei dettagli), costringe ad avere tempi di esposizione molto molto lunghi, immaginate di fotografare con un diaframma di 1/264 o giù di lì... Quindi la scatola è opportuno appoggiarla in modo stabile, ed i soggetti in movimento... non vengono fotografati proprio! Inutile anche l'utilizzo di un flash... solo tanto tanto tempo: slow picture!



Ecco una delle immagini realizzate a San Galgano (SI), nella sessione di cui sopra, le "lame" di luce sono dovute all'infiltrazione fra i mattoncini della lego, non perfettamente sigillati... ma va bene lo stesso, anzi: esse sono caratteristiche, non difetti nella fotografia pinhole! Avessi voluto una foto "normale" avrei usato una normale macchina fotografica... No?... ;)

giovedì 8 gennaio 2009

Cenni storici

Cenni storici - premessa: scusatemi se il tono che assume il discorso sulla fotografia pinhole è sovente un po' pesante, spero saprete perdonarmi questo e tenere ciò che c'è di buono! Pensate che avete l'occasione di sbirciare in un mondo abbastanza poco noto, quasi carbonaio, e se ne avrete voglia anche di addentravi un po' in esso.
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-Il termine pinhole è un vocabolo inglese e significa “foro piccolo”, fu coniato da Sir David Brewster, che nel 1850 realizzò la prima fotografia “pin-hole”. Ha come termini equivalenti “stenopeico” (dal greco stenos opaios = dotato di un piccolo foro, italiano), lochkcamera (tedesco), sténopé (francese). In Italia si usano indifferentemente “stenopeico” e “pinhole”. La dizione “foro stenopeico” molto usata sarebbe errata.
Il termine “macchina” per un’apparecchiatura che non possiede alcun meccanismo sarebbe da non usare, ma in effetti per abitudine, convenzione od altro, sono ormai entrambi in uso corrente nel "nostro" gergo.

Notiamo che, essendo la prima fotografia con obiettivo datata 1830, il pinhole non è l’antesignano della fotografia, ma un ramo a sè stante (non esiste quindi la relazione esistente p.e. fra bicicletta e motocicletta).

Come antenata ha la “camera obscura” usata dai pittori paesagisti almeno dal 1400 e prima ancora vari “stratagemmi” utilizzati nell’osservazione astronomica da astronomi arabi e cinesi sin dall’antichità. Qui le fonti diventano vaghe e le verifiche impossibili.


La leggenda.
La leggenda narra che nel X secolo, un principe arabo, risvegliandosi nella sua tenda vedesse su di essa una figura, come un’apparizione. Spaventato da questa visione egli si rivolse allo studioso Ibn Al Haitan (altre fonti riportano il nome dello scienziato arabo Alhazen).
Questi, esaminando la tenda si accorse della presenza di un forellino nello spesso tessuto. Il saggio Al Haitan rassicuro’ il nomade spiegandogli come l’immagine dell’astro solare durante l’eclissi, in atto in quel momento, era stata trasformata nell’allarmante visione dei raggi di luce che passavano attraverso il foro nel telo e ne proiettavano l’immagine capovolta sulla parete opposta.


La camera oscura

Anche Aristotele (384-322 A.C.) aveva sperimentato la “creazione” di immagini capovolte in un ambiente buio; Leonardo da Vinci (1452-1519) nel “Codice Atlantico” parla cosi’ del pinhole:

“L’esperienza che dimostra come gli oggetti mandino le loro immagini riflesse nell’occhio e nel suo umore lucido è palese quando le immagini d’oggetti illuminati entrano attraverso una piccola apertura rotonda in una stanza molto buia. Potrete catturare quindi queste immagini su un pezzo di carta bianca che sia posto verticalmente nella stanza, non lontano dall’apertura e vedrete l’oggetto su questa carta nella sua forma e colori naturali, ma essi appariranno più piccole e capovolte per l’intersecarsi dei raggi all’apertura”.

Od ancora la descrizione di una stanza modificata:

“Dico che, se una faccia d’uno edifizio o altra piazza o campagna che sia illuminata dal sole, sarà al suo opposta un’abitazione, e in quella faccia che non vede il sole sia fatto uno spiraculo rotondo e appariranno dentro all’abitazione nella contraria faccia, la quale vol essere bianca, e saranno lì appunto e sottosopra, e se per molti lochi di detta faccia facessi simili busi, simile effetto sarebbe per ciascuno.”

Attorno al 1425, l’architetto rinascimentale Filippo Brunelleschi usa un dispositivo dotato di piccola apertura per riprodurre su carta la prospettiva di panorami e monumenti.
La tecnica di porre una tela da disegno in una camera oscura venne descritta per la prima volta da Giovanni della Porta nel Magiae Naturalis Libri Quatuor nel 1558, e fu usata – spesso con camere oscure portatili- fino al XVIII secolo da pittori più o meno famosi, per realizzare lo loro “vedute” o, come riportano i manuali dell’epoca, per fissare i “points de vue”. Fra gli altri ricordiamo Canaletto, Guardi, Vermeer.
NB: Alcune fonti riferiscono che uno fra i primi ad utilizzare in pittura il sistema della camera obscura fu l’udinese Luca Carlevarijs (UD 1663, Venezia 1730) - insegnandone poi l’uso al suo discepolo, Antonio Canal detto il Canaletto (1697-1768).
La proiezione di questa immagine si basa su principi fisici elementari: la propagazione della luce in linea retta e la diffrazione.
Riguardo la propagazione della luce in linea retta sembra che già nelle prime osservazioni questo fosse dato per acquisito, riguardo una sua applicazione pratica, ricordo che nel 1580 gli astronomi vaticani usarono l’impronta luminosa che il sole tracciava sul pavimento di una stanza - passando attraverso un foro su una parete - per dimostrare che il calendario giuliano allora in vigore non era esatto.
Di conseguenza, dopo circa due anni venne definito un nuovo calendario, il calendario gregoriano. Alcune fonti attribuiscono l’osservazione di cui sopra ad un equinozio di primavera (nel quale il sole è a metà altezza), ma io sono più propenso a pensare che fosse stata realizzata durante un solstizio: se d’estate l’impronta creata dal sole alla sua massima altezza sarebbe stata la più vicina al foro, e viceversa nel solstizio invernale.


La riforma del calendario
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Per volontà di Papa Gregorio, in un sol giorno, nell'ottobre 1582, si passò dal 4 al 15… Con la bolla Inter gravissima il Papa promulgò un nuovo calendario, in seguito detto appunto Gregoriano, al posto del precedente, o Giuliano (sempre con la “G”…), introdotto nel 46 aC da Giulio Cesare.


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La riforma del calendario fu un evento sofferto e di lunga gestazione: per prepararlo furono fatte disquisizioni teoriche, fondate su laboriose ricerche, nonché osservazioni e misurazioni astronomiche, procedimenti questi che interessarono un’ampia sfera del mondo scientifico dell’epoca. Fra questi ci fu anche Egnazio Danti (nato Pellegrino D.), cosmografo pontificio, in base al titolo assegnatogli da Gregorio XIII nel 1580.
Questi era di famiglia colta e con tendenze artistiche: il padre Giulio fu architetto ed orafo, il fratello Vincenzo realizzò numerose opere, fra cui il trittico di statue della decollazione del Battista, che adornavano l’esterno del Battistero di Firenze e la statua di Giulio III, ospitata nella piazza del Duomo di Perugia.
Egnazio fu il nome che scelse entrando nell’ordine dei domenicani a 19 anni (era nato a Perugia nel 1536); trasferitosi nel 1562 a Firenze, a servizio del granduca Cosimo, realizzò le carte geografiche del Guardaroba di Palazzo Vecchio, e si mise in luce per i suoi studi di geometria, con la pubblicazione di numerosi trattati.
Perché riformare il calendario?
Perchè all’epoca c’era uno sfasamento di circa 10 giorni fra la data astronomica e quella del calendario Giuliano, e p.e. l’equinozio di primavera non vi verificava il 21 marzo, ma dieci giorni prima, cioè l’11. In circa mille e cinquecento anni, anno dopo anno, si era accumulato questo errore, e la riforma appariva urgente, in quanto la chiesa necessitava di determinare con certezza la data liturgica delle sue festività, ed in particolare quella della Pasqua, che , secondo quanto stabilito dal Concilio di Nicea del 325, veniva fatta coincidere con la domenica immediatamente successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Per attuarla era necessario però acquisire con la massima precisione allora consentita la conoscenza della durata dell’anno tropico, che è l’intervallo di tempo compreso fra due successivi equinozi di primavera.
Si varò quindi un progetto di ricerca, teso alla misurazione della durata dell’anno tropico, in questo ambito E. Danti realizzò alcuni strumenti fra i quali l’armilla equatoriale ed il quadrante di marmo, e due fori gnomonici (lo gnomone era l’elemento sporgente dalle tavolette di campagna in uso dagli antichi agrimensori romani, e ancor ora il termine si usa per il “ferro” delle meridiane) che fece collocare nella facciata della basilica di Santa Maria Novella a Firenze.
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L’intento era di trasformare la chiesa in una gigantesca meridiana, perfezionando quella già in funzione nella cupola del Brunelleschi, e realizzata nel 1475 da Paolo dal Pozzo Toscanelli, che però non funzionava tutti i mesi dell’anno, ma solo da maggio a luglio. L’osservazione del moto apparente del disco solare, avrebbero reso possibili quelle misurazioni accurate necessarie a fissare le date principali del nuovo calendario, sennonché il Danti dovette fuggire da Firenze a causa dell’avvicendamento dei granduchi, che fece seguito alla scomparsa di Cosimo. Riparato nel 1575 a Bologna, nel 1576 realizzò nella basilica di San Petronio una nuova grandiosa meridiana, che descrisse dettagliatamente nel suo trattato “Usus et tractatio gnomonis magni”.
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.Il capitolo della riforma del calendario è tratto da un articolo di..... pubblicato su..... (in aggiornamento)


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Immagine tratta dall'indirizzo:
http://www.nauticoartiglio.lu.it/almanacco/eclissi_minisito/Aa_ecli_13.htm
Dateci un occhiata! ;)

Piazza San Pietro


Cabina telefonica in Piazza S. Pietro (la chiesa sullo sfondo), con turisti americani preoccupati, mentre telefonano, in primo piano...

Specchio


In viaggio in autostrada, con tramonto alle spalle.

Palermo


Palermo, la chiesa dei Normanni (credo!).

Stagno di Percedol


La grande profondità di campo propria degli apparecchi lensless, qui crea l'effetto di falsare le proporzioni: la cornice fotografica (dim. appr. 13x18 cm) appoggiata sul muschio che ricopre un sasso sembra un cartellone pubblicitario.

Torre Velasca


Caratteristica delle foto realizzate senza l'obiettivo (lensless) è la pressochè assoluta profondità di campo: qui sono a fuoco sia il primissimo piano che lo sfondo, sempre con il caratteristico effetto "flou". Milano - Torre Velasca, febbraio 2001.
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mercoledì 7 gennaio 2009

Il BUCO:

Dicevo in precedenza che per ottenere le immagini pinhole, servono (banalizzo...) una camera obscura ed un buco.
Ma cos'è un buco?... una presenza... o un'assenza?...

Buco nero, buco di memoria, buco di bilancio, buco nell'acqua, buco nell'ozono... L'uomo è bucatore, non può astenersi dal bucare il mondo, a cominciare da se stesso - con piercing e pere: buca la pelle della Terra, ma anche l'acqua ed il cielo, buca formaggi, ciambelle, mentine, biglietti ferroviari, buca ogni cosa.
L'homo perforans ha dei buchi una concezione eminentemente pratica. Non sa perché buca, ma buca. Non sa neppure cosa sia un buco, come dimostra un fondamentale libro dei filosofi Achille Varzi e Roberto Casati (Buchi, Garzanti 1996), che si apre con una citazione solo apparentemente banale dello scrittore Kurt Tucholsky: "C'è un buco dove non c'è qualcosa".
Ma allora quanto vale un buco di sessantaduemila miliardi? E un soldo bucato? Nelle ultime settimane le discussioni politiche si sono nutrite della metafisica dei buchi: forse c'è un buco, quantifichiamo il buco, l'Europa ci rimprovera il buco. Però la pretesa di "fare chiarezza sul buco" è veramente eccessiva.
Il buco è buio, nel buco si scruta a fatica, il buco è tutto ed è niente.

Ha detto Tucholsky: il buco c'è se non c'è.

STEFANO BARTEZZAGHI - la Repubblica 18 Luglio 2001

Che foto vengono? 2


Scatoletta di cartone, con rullo120, appoggiata alla portiera della macchina tornando da Matera, nei pressi di... Faenza (...? che importanza ha?...) ...è una tecnica necessariamente limitante?...
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Che foto vengono1?...



In questo blog propongo il mio approccio alla fotografia: attraverso l'autocostruzione di oggetti ("aggeggi" od "ordegni" rendono meglio!) ci emancipiamo dalla necessità di spendere cifre spesso importanti per ottenere foto (troppo) spesso evitabili... Con questa tecnica non si può realizzare qualunque tipo di immagine: i lunghi tempi di esposizione necessari per la posa rendono impossibili certi soggetti, ma viceversa, ancora più suggestivi risultano altri. Direi che è un campo in cui "tecnica" e "creatività" si compenetrano: il fotografo "tipo" (se mi si passa l'espressione!) esce la domenica verso le 10:30 - 11:00 con la macchina al collo e va in cerca di qualcosa da fotografare, finendo per lo più nei "soliti" posti con case diroccate, gattini e vecchie, quando si arriva a forografare le stazioni dei treni o i cimiteri si è al capolinea! Con la tecnica del costruirsi la macchina da sè... bhe posso immaginarmi la macchina per la singola foto, quindi la cratività inizia già nell'atto di costruire una scatola più adatta di un'altra a quella circostanza particolare.
Uso il termine macchina per brevità, ma in effetti una scatola, senza meccansimi, proprio proprio macchina non è... Realizzata la scatola (di cui parlerò a parte) a mio avviso due sono gli approcci possibili: o ci si "sofferma" sulla meraviglia per il fatto che funzioni (a sproposito citerei un ..."eppur si muove!" ossia 'qualcosa succede davvero!') e si usano gli apparecchi autocostruiti per la didattica o per meravigliare amici e parenti, oppure si cerca di usarli nel modo più creativo possibile, comprendendone le caratteristiche, limiti inclusi. Io avrei provato quest'ultimo, scivolando spesso (ahimè!) nel primo..!
Ho iniziato una decina di anni fa, fino ad individuare direi... tre "filoni" fotografici (questa necessità di classificazione...!), i due principali sono "luoghi" e "moving" dove ho utilizzato una scatola di cartone, con dentro il rullo 120.
Foto sopra: Il gruppo degli ascensori all'albergo "LeMeridien" del Lingotto, ottimamente ristrutturato da Renzo Piano.
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lunedì 5 gennaio 2009



…gli elementi che consistono in quelli limitati (perainonta) limitano quelli che consistono in quelli limitati e illimitati (apeira).”
I perainonta erano anche chiamati gnomon in quanto costituiscono elementi di diffrazione quali una squadra, un foro o un asta di un orologio solare (la cui invenzione viene attribuita ai Sumeri – lo Skaphion di Beroso – come del resto la divisione del cerchio in 360 segmenti, o gradi).
Gli gnomon separano la luce dall’ombra e redistribuiscono il percepito in punti o numeri entro uno spazio prestabilito.
La tradizione attribuisce ai Pitagorici di avere per primi creato modelli didattici di facile comprensione. Cinque secoli più tardi Vitruvio mise a punto “De gnomonice” un manuale di volgarizzazione scientifica di successo senza uguali, visto che da due millenni viene citato e ripreso continuamente.
Più vicino a noi troviamo Bedon deCelles, la definizione di gnomone: taglio, o apertura ridotta, diretta verso uno schermo o una parete, un ostacolo o anche semplicemente una pietra di confine che taglia la luce e ci permette di organizzare lo spazio.

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La Scatola.
"La città ospitò quattrocento fanti ed una cinquantina di cavalieri.
I resti delle mura sono ad una ventina di chilometri da Brukken, a nord ovest, vicino le paludi di Ciechanow.
Sullo stato delle rovine interne si fanno solo ipotesi. Guardando superficialmente si potrebbe dire che si tratta di un altro monumento megalitico.
Tutti i cittadini di Brukken sanno che le storie di Danj Swidnica sono burle. L’aspetto inquietante di queste storie risiede in alcuni riscontri: il numero delle porte, le scale della torre est (le uniche diverse da quelle delle altre torri), la pianta della stanza (la maggiore) per l’affumicatura ed altro ancora. Poco credibile è anche che Danj Swidnica se ne vada in Biblioteca a caccia di particolari: nulla ha del topo di biblioteca, né dell’antropologo e nemmeno dello storico.
Altri siti sono degni di interesse per capire il territorio.
La città vicina alle paludi di Ciechanow è, ancora oggi, quasi evitata dagli archeologi seri. Nel libro “I misteri della palude di Ciechanow” (Erwitt, 1951), l’autore inglese Charles Mansell espone teorie affascinanti, ma prive di ogni fondamento scientifico. Si tratta solo di un’operazione commerciale, preferiamo indubbiamente le oneste storie di Danj Swidnica.
Poco dopo il tramonto il civile Gusev faceva il giro delle mura e controllava la chiusura delle porte. Non aveva mai suonato il piccolo corno: chi provvedeva alla chiusura lo faceva sempre in orario e con il massimo scrupolo.
Gusev aveva sentito parlare della Grande Muraglia e pensava non fosse solo una leggenda dell’Oriente. Questa chiusura che limitava lo spazio aveva l’indubbio vantaggio di concentrare gli influssi del cielo notturno.
Probabilmente anche di giorno il flusso ha la stessa intensità e velocità, ma si sa che il sole distrae, e che durante la notte è possibile udire quel divino mormorio che, superficialmente, è scambiato per silenzio.
Mai, nemmeno per una volta, Gusev sentì la monotonia dei suoi giri: era sempre concentrato ad ascoltare la notte. L’odore del bitume di Giudea delle porte era, a tratti, più intenso. Faceva attenzione ai suoi passi, preso da un’intima eccitazione. Le orme poco profonde, cambiavano inevitabilmente il mondo. Gusev aveva anche più volte pensato alle porte. Di giorno erano aperte e gli spazi, interno ed esterno, erano una cosa. Di notte era diverso, qualcosa cambiava; ed era proprio questo, insieme al cielo stellato, la causa della sua intima eccitazione. Queste cose erano solo sue, e durante questi giri, trovava soluzioni giuste a piccoli e grandi problemi che di giorno gli sembravano senza soluzione. Non c’era motivo per negare l’accesso alla piccola carovana che bussò alla Porta Est in una tiepida notte di primavera inoltrata. Lo Straniero aveva, sotto il mantello, una piccola scatola di legno intarsiato (nel modo dei Mori) con un’apertura sul davanti, che sembrava un occhio di vetro. Il prodigio della scatola era quello di ricavare immagini colorate.
Le immagini erano così vicine al vero da destare viva curiosità ed anche altro. Non passarono molti giorni: lo Straniero vide le lingue ardenti salire dai piedi; poi le fiamme cominciarono a consumarlo; gridò, e fu come se un incendio gridasse. Si dice che Gusev avesse corrotto una guardia e incontrato lo Straniero in cella, la notte prima del supplizio.
La piccola scatola si trova oggi al Museo della Scienza e della Tecnica, a Monaco di Baviera (Sala VII, primo piano)."

Racconto di Alessandro Parussini


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